Il 2013
festeggia il settantesimo anniversario di uno dei più celebri libri di tutti i
tempi: “Il Piccolo Principe”. Spesso questo testo viene proposto a ragazzi che
frequentano le scuole medie, probabilmente perché ritenuto un classico
comprensibile da adolescenti che si affacciano alla vita. Eppure, dopo aver
ripensato alla storia, alle tematiche, alle riflessioni presenti nel libro, mi
domando come un ragazzino, che si affaccia alla vita, possa entrare nel vivo
delle tematiche trattate. Di certo non sottovaluto gli adolescenti frequentanti
le scuole medie, ma credo semplicemente che la lettura di questo testo debba
nascere da una ricerca personale, da un desiderio di comunicare col proprio
IO-bambino piuttosto che da un’imposizione proposta dalla scuola.
Cosa ho
provato dopo aver letto questo libro? Un sentimento contrastante in bilico tra
tristezza e speranza. Da un lato ci si trova a dover fare i conti col fatto di
rientrare in quella schiera di persone chiamate adulti, che senza accorgersene si ritrovano a dover quantificare
tutto ciò che gli capita tra le mani, una montagna è tale solo se si quanto è alta, quanto è antica…il misurabile è ciò che si cerca, ciò che è
comprensibile e ciò che è vero.
Si ha
talmente poco tempo per fermarsi e pensare, guardare, riflettere, che ci si
ritrova inevitabilmente a cedere all’egoismo, a guardare chiunque ci circonda
dal basso verso l’alto per darne un giudizio, credendo di avere la verità in
pugno, e questo proprio perché “è più difficile giudicare se stessi che
giudicare gli altri”, ci si crede come dei baobab
che ritengono di poter affondare le proprie possenti radici nel terreno,
privando altre creature del proprio spazio vitale. E ciò avviene anche nella
politica, dove i potenti del mondo non riescono ad essere ragionevoli come il
re dell’asteroide B325 secondo cui “bisogna esigere da ciascuno quello che
ciascuno può dare, l’autorità riposa, prima di tutto, sulla ragione. Se tu
ordini al tuo popolo di andare a gettarsi in mare, farà la rivoluzione. Ho il
diritto di esigere l’ubbidienza perché i miei ordini sono ragionevoli”.
Gli
adulti piantano cento rose nel loro giardino e non si affezioniano nemmeno ad
una di esse, diventano ognuna la copia dell’altra restando prive di unicità. E questo
circolo vizioso va inevitabilmente a ripercuotersi nelle relazioni d’amicizia,
dove non ci si lascia addomesticare dall’altro,
ovvero, non si riescono a creare legami veri, con l’amico, il quale riconosce i
nostri passi quando ci avviciniamo e si tranquillizza, amico che sa vedere in
noi qualcosa che gli occhi non vedono, amico che diventa un bene talmente
prezioso al punto che la paura di perderlo ci soffoca, e ci fa piangere. E come
l’amico può essere qualsiasi relazione che instauriamo con altre persone, come
ad esempio la relazione d’amore.
Eppure
c’è chi è ancora in grado di guardare con il cuore il mondo che lo circonda,
che viaggia in treno col naso appiccicato al vetro fissando i paesaggi che
mutano attorno a lui, rimanendone affascinato; che “perde tempo per una bambola
di pezza, e lei diventa così importante che, se gli viene tolta, piangono…”
queste creature meravigliose sono i bambini, che, “beati loro”, hanno ancora
una capacità di porsi domande su ciò che li circonda, di affezionarsi ad un
fiore al punto tale da dover creare una museruola con la quale imbrigliare una
pecora purché non si mangi il loro fiore, di allungare le giornate al punto
tale da vedere infiniti tramonti in ventiquattro ore.
Dopo questa
riflessione mi domando: io cosa posso fare? Cosa posso fare per ritrovare
dentro me stessa il mio “piccolo principe” com'è riuscito a fare l’autore? E soprattutto
domanda ancora più importante…come posso io, in quanto adulta lasciare i
bambini, che incontro tutti i giorni, sul loro piccolo pianeta affinché possano
vivere di sogni e fantasia, di autenticità e amore? Le risposte non esistono a
queste domande, il tempo corre e noi corriamo insieme a lui, e in questa realtà
in cui non si ha il tempo materiale per fermarci, i nostri bambini devono stare
al passo con noi e con ciò che la società pretende da loro. Ma cosa si può
pretendere in più da ciò che è già perfetto?
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