LA RESILIENZA

Precedentemente ho parlato di emozioni positive, sottolineandone l’importanza nell’affrontare la vita di tutti i giorni e le sue avversità, ora intendo invece esporre un altro tema interessante che richiama in qualche modo ciò che è stato spiegato con le emozioni positive: LA RESILIENZA.



Il termine "resilienza" in origine proveniva dalla metallurgia: indica, nella tecnologia metallurgica, la capacità di un metallo di resistere alle forze che vi vengono applicate. Per un metallo la resilienza rappresenta il contrario della fragilità. Così anche in campo psicologico: la persona resiliente è l’opposto di una facilmente vulnerabile. Etimologicamente “resilienza” viene fatta derivare dal latino resalio, iterativo di salio. Qualcuno propone un collegamento suggestivo tra il significato originario di resalio, che connotava anche il gesto di risalire sull’imbarcazione capovolta dalla forza del mare, e l’attuale utilizzo in campo psicologico: entrambi i termini indicano l’atteggiamento di andare avanti senza arrendersi, nonostante le difficoltà (Peveri, 2008).
Un significato equivalente é riscontrabile anche in altre discipline. In biologia la resilienza e la capacità di autoripararsi dopo un danno, mentre in ecologia tanto più un ecosistema è dotato di variabilità dei fattori ambientali, tanto più le specie che vi appartengono sono dotate di un’alta resilienza. Nel linguaggio informatico la resilienza di un sistema operativo è rappresentata dalla capacità di adattamento alle condizioni d’uso e di resistenza all’usura.
Il termine, traslato dalla fisica, dalla biologia e dall’informatica viene utilizzato dalla psicologia e dalla sociologia per indicare la capacità di un individuo di resistere agli urti della vita senza spezzarsi o incrinarsi, mantenendo e potenziando inoltre le proprie risorse sul piano personale e sociale (Oliverio Ferraris, 2003). La resilienza può quindi essere considerata come la capacità di affrontare eventi stressanti, superarli e continuare a svilupparsi aumentando le proprie risorse con una conseguente riorganizzazione positiva della vita.
Ma questa è solo una delle possibili definizioni, perché nel panorama attuale la resilienza è un ambito di studio per diverse discipline scientifiche che indagano questo fenomeno, ognuna da un punto di vista differente. Le neuroscienze pongono il fuoco sulla funzione plastica del cervello capace di sostenere il soggetto traumatizzato grazie alla riattivazione funzionale di circuiti neuronali del benessere. La psicobiologia studia i rapporti mente corpo e la riorganizzazione positiva del sistema biologico in risposta al trauma e al dolore. La psicologia, la sociologia e la psicopedagogia hanno come ambito d’indagine la conoscenza e la gestione delle situazioni traumatiche a sostegno dello sviluppo. All’interno di questa pluralità di apporti scientifici, che hanno fatto della resilienza una prospettiva d’indagine trasversale nell’ambito delle scienze umane, possono essere rintracciate molteplici definizioni del termine che pur differenziandosi per riferimenti teorici e fattori evidenziati, hanno come elemento comune la visione della complessità del fenomeno e l’individuazione di diverse variabili tra loro in interazione (Peveri, 2008).
Nell’ambito della psicologia e più propriamente della psicopatologia, la resilienza è considerata come la capacità di evolversi anche in presenza di fattori di rischio . La resilienza viene inoltre vista come una qualità genetica che però, nell’arco della vita può manifestarsi e essere sviluppata grazie all’interiorizzazione di legami significativi. Cyrulnik (2001) definisce la resilienza come una trama dove il filo dello sviluppo si intreccia con quello affettivo e sociale. Egli inoltre sostiene che essere resilienti non significa essere individui invulnerabili, inaccessibili alle emozioni, alla sofferenza. La persona resiliente non è un super eroe, ma solo una persona comune dotata di molte qualità ma che può andare incontro a rotture di resilienza e a depressioni: anche per una persona dotata di qualità resilienti possono infatti esserci momenti e situazioni troppo faticose da sopportare e Cyrulnik (2001), considera gli individui resilienti come persone che hanno trovato in se stessi, nelle relazioni umane, nei contesti di vita, gli elementi e la forza per superare le avversità.
All’interno della prospettiva psicosociale viene posta un’enfasi ancora maggiore sulle esperienze famigliari per coltivare la speranza e sostenere l’individuo verso un nuovo progetto di vita. La resilienza è una competenza che si sviluppa all’interno della dimensione relazionale e viene accresciuta e fortificata da tutte le esperienze in grado di favorire un sentimento di efficacia personale e di valorizzazione del Sè. Nell’ambito della prospettiva psicosociale il concetto di resilienza è utilizzato anche in riferimento ai gruppi e alle comunità per indicare una condizione che amplifica la coesione dei membri fortificando le risorse vitali di coloro che ne sono coinvolti (Peveri, 2008).
L’approccio psico-educativo, sottolinea invece l’aspetto dinamico ed evolutivo del comportamento resiliente, attribuendo grande importanza alla promozione e allo sviluppo di quelle capacità che possono sostenere il benessere individuale e impegnandosi concretamente nella realizzazione di progetti di intervento e nella ricerca di nuove metodologie per potenziare le competenze resilienti.
La resilienza psicologica è quindi la capacità di persistere nel perseguire obiettivi sfidanti, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà e gli altri eventi negativi che si incontreranno sul proprio cammino. Il verbo "persistere" indica l’idea di una motivazione che rimane salda. Di fatto l’individuo resiliente presenta una serie di caratteristiche psicologiche inconfondibili: è un ottimista e tende a "leggere" gli eventi negativi come momentanei e circoscritti; ritiene di possedere un ampio margine di controllo sulla propria vita e sull’ambiente che lo circonda; è fortemente motivato a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato; tende a vedere i cambiamenti come una sfida e come un’opportunità, piuttosto che come una minaccia; di fronte a sconfitte e frustrazioni è capace di non perdere comunque la speranza. I soggetti resilienti sembrano essere in grado di “rimbalzare” da esperienze stressanti a positive in maniera rapida, e sono inoltre in grado di affrontare in maniera positiva gli eventi negativi (Peveri, 2008).
In America e in Europa, soprattutto in Francia, recentemente si è assistito alla proliferazione di studi e ricerche su bambini che a dispetto dell’alto rischio di devianza, dovuto a problemi famigliari e/o sociali, avevano uno sviluppo positivo, o su adulti che nonostante avessero vissuto nella vita guerre, violenze, abusi o incidenti, avevano trovato un equilibrio per un’esistenza gratificante. Tra questi studi quello più celebre e all’interno del quale fece per la prima volta la comparsa il termine resilienza fu quello di Werner e Smith (1992). A partire dal 1955 per circa un trentennio Werner condusse una ricerca longitudinale su 698 neonati dell’isola Kauai (Hawaii). Circa un terzo di questi neonati per la psicologia classica avevano tutti i prerequisiti per una prognosi di disagio psichico o sociale, in quanto esposti a diversi fattori di rischio (nascita difficile, povertà, famiglie con problemi di alcolismo, malattie mentali, aggressività etc.) (Peveri, 2008).
Contraddicendo le previsioni, un terzo di questi bambini, settantadue per la precisione, erano riusciti in età adulta a migliorare la loro condizione di vita ed erano diventati adulti in grado di avviare relazioni stabili, che si impegnavano sul lavoro e si prodigavano per gli altri. Il riscontrare in queste persone una possibilità di miglioramento ha aperto un ambito di studi sulla ricerca dei fattori di protezione che possono favorire uno sviluppo adeguato.
Comprendere cosa aveva reso resilienti quei settantadue bambini, consentì di capire che l’esperienza traumatica che pur rimane iscritta nel profondo dell’animo, può divenire un occasione formativa di crescita personale.
In un’ottica sistemica la resilienza viene considerata come la capacità di un sistema di far fronte ai cambiamenti, imprevisti e improvvisi, provocati dall’esterno e di superare queste crisi attraverso un cambiamento qualitativo in grado di mantenere la coesione strutturale e funzionale del gruppo. La resilienza del singolo quindi, si sviluppa anche attraverso la capacità dei sistemi sociali connessi (famiglia, scuola, società) di creare delle condizioni protettive (tutori di resilienza) per supportare le difficoltà legate al trauma (Bronfenbrenner, 1979). Si veda la Tabella 1.1 per una sintesi delle possibili definizioni di resilienza.

Tabella 1.1 Definizione di resilienza in ambito psico-socio-pedagogico e studi che hanno contribuito a raccogliere dati per la corrispondente definizione. Fonte: Bertetti, 2008.


Definizioni resilienza
Ricerche e studi
In ambito psicologico-psicoterapeutico:
- capacità di superare, per qualità individuali, psichiche, comportamentali e di adattamento un grave stress a cui è associato un grave rischio di psicopatologia
- capacità umana di affrontare le avversità della vita, superarle e uscirne rinforzato o, addirittura, trasformato

Rutter, 1979; Anthony, Childrand, & Kuopernic, 1982; Luthar & Ziegler, 1991; (Wolin, 1997; Anaut, 2003; Short & Casula, 2004; Tomkiewicz,
1999; Oliverio Ferraris, 2003; Cyrulnik, 2006

In ambito psico-sociale:
- flessibilità, adattamento positivo in risposta ad una situazione avversa, da intendersi sia come condizione di vita sfavorevole, sia come evento traumatico ed inatteso
- capacità di una persona o di un gruppo a svilupparsi nonostante l’esperienza di avvenimenti destabilizzanti, condizioni di vita difficili e traumi
- qualità che aiuta gli individui o le comunità a resistere e superare le avversità
Garmezy, 1972; Garmezy et al., 1984; Rutter, 1985, 1988; Werner, 1993; Masten, 1994; Masten & Coatsworth, 1998; Grotberg, 1995; Cyrulnik, 1998; Manciaux, 2001; Newman & Blackburn, 2002; Cyrulnik & Malaguti, 2005

In ambito sistemico:
- capacità che si sviluppa all’interno di sistemi (familiare, sociale) capaci di sostenere e di resistere ai cambiamenti provocati dall’esterno, per sovrapporsi e superare crisi attraverso un cambiamento qualitativo e mantenendo la coesione strutturale attraverso un processo di sviluppo
- processo dinamico che si stabilisce nell’interazione di fattori di rischio e fattori di protezione

Fine, 1991; Rutter, 1990; Belsky, 1993; Richardson & Gray, 1999; Waller, 2001; Di Blasio, 2005
In ambito psico-educativo:
- qualità potenziale e dinamica che può essere potenziata dalla qualità delle interazioni tra individuo e ambiente
- come altre abilita può essere acquisita attraverso un processo di apprendimento, che deve essere sostenuto e promosso dalle istituzioni formative
Avord, 2004; Malaguti, 2005; Henderson & Milstein, 2003; Putton & Fortugno, 2008 Putton, Fortugno, 2006; Labbrozzi, 2004; Castelli, 2005


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